Vienne, 9 febraio 1516

Francesco Vettori a Lorenzo de’ Medici

Ieri a ore xxi, a Vienna, mi furono presentate le lettere di vostra signoria de’x e xii.
   Come ebbi le lettere, deliberai di eseguire la commissione di vostra signoria con celerità; e, per il Rodano, mi condussi questa mattina qui, innanzi che il Re fussi levato, e gli presentai la lettera di vostra signoria; poi gli lessi una parte di quella scriveva a me, e gli dissi mi pareva non potere esprimere l’animo di vostra signoria con migliore parole nè più affettuose che con quelle era scritta la lettera; e che insino a qui, e a bocca, e per uomini suoi, e per lettere, vostra signoria aveva con le parole fatto intendere l’animo suo a Sua Maestà; e che al presente cominciava essere tempo di mostrarlo co’ fatti; e che quella poteva essere certa che risponderebbono le parole; e che io ardiva di dire che pochi uomini sapeano la mente di vostra signoria meglio di me; e però poteva essere certa Sua Maestà della inclinazione aveva avuta sempre a quella, e della fede, la quale troverebbe in vostra signoria quanto in altro uomo; e che, quando quella gli prometteva cosa alcuna, eleggeria prima el morire che el mancargli; e me distesi in su questi generali assai.
   Sua Maestà udì tutti con grande attenzione, e mostrò grande allegrezza di vostra signoria e delle parole gli dissi per parte di quella, che non se porria dire più; e mi disse ch’ io ringraziassi la signoria vostra per sua parte; e che sapeva che, se fede era nel mondo, era quella, e che accettava le offerte di vostra signoria, e quando fusse tempo le userebbe; e che, avendo a fare questa impresa del regno, come l’aveva consultata nel principio con nostro Signore, così seguirebbe di fare, e piglierebbe quella gente e quelli favori che Sua Santità gli disse; e che sapeva certo che nostro Signore non gli mancherebbe di tutto quello potesse, perchè questa impresa era a beneficio di Sua Santità e delli suoi; e quali lui pensava per ogni tempo mantenere grandi, perchè gli potessino aiutare a conservare, e lo stato di Milano, e quello di Napoli quando l’arà acquistato. Era l’ora d’andare alla messa, in modo non ebbe tempo di rispondere alla cosa del signor Prospero, che mi pareva importasse: ed io allora l’aveva sollecitato a parlargli, perchè sapeva che detto signore veniva, e pensava che fusse bene Sua Maestà intendessi, avanti il suo arrivare, la opinione di vostra signoria; e però parlai con el gran mastro, e gli dissi quel che vostra signoria gli scriveva circa questo, e che era cosa che importava che avvertissero bene, avanti firmassino niente. Lui mi disse che tutta questa cosa e impresa si consultava con nostro Signore; e che Sua Santità aveva ricerco il Cristianissimo che lo liberasse; e che sapeano che quella ne sarebbe contenta, che l’usasse in questa impresa, e che gli Orsini non l’arebbono avere per male; e che, accadendo, userebbe anco l’opera loro. Io replicai che il signor Prospero aveva una grande opinione di sè; che, se gli davano grande condotta e grande reputazione, che se mettevano in mano di chi era stato l’inimico, e lungo tempo; se ne gli davano pochi, non sene contenterebbe; e che avvertisse che lui aveva avuti gran beneficii da Spagna, de’quali se si voleva ricordare, era tenuto fare quello che poteva per li eredi suoi; se li dimenticava, pensasse che fede era quella di uno uomo ingrato a chi lo ha beneficato; oltra questo, che Gonsalvo Fernandez era grande uomo nella pace e nella guerra, e questo confessa tutto el mondo, e nondimeno el signor Prospero non gli voleva cedere; e che il Cristianissimo ha a pensare non solo acquistare quello regno, ma mantenerlo; e Sua Maestà non vi può stare in persona; e, se vi mette un viceré e temuto e obbedito, il signor Prospero è sempre per opponersi, e non cedere a chi arà a governare, onde nascerà ogni giorno qualche inconveniente.

   Lui mi rispose: «Abbiamo uomini assai delli nostri a chi dare l’impresa, com’ è a M. de Lautrec, M. de la Trémouille, e ad uno di questi toccherà con il signor Prospero. Non siamo ancora venuti al partire culare; ma, per facilitare la impresa, quando se gli dessi insino in cento lancie, giudicava se non al proposito.» Io risposigli che era assai a dargli reputazione, la quale loro gli dovevano torre per ogni causa, e per i portamenti suoi passati.

   Il generale de Languedoc, che è qui per conto de' danari de' Svizzeri e per dar recapito alle lettere che vengono di là, ha fatto intendere questa sera a M. di Tricarico che aspetta domani ad ogni modo la ratificazione di tutti i Svizzeri.