Vergier, 14 luglio 1518.

Bernardo Dovizi da Bibbiena a Giulio de’ Medici

La Signoria Vostra Reverendiss. alla ricevuta di questa harà visto, per l’ultima mia de’ XII, da Angiers, quanto Monsignore il gran Maestro mi haveva communicato per commissione del Christianissimo Re. Hebbi di poi le lettere di vostra Signoria Reverendissima de’ cinque coi capitoli in cifra et con tutto quello che, per ordine di lei, Bartholomeo m’ha scritto, insieme con gli estratti delle lettere di Spagna et d’Alemagna. Ringratio N. Sig. prima et poi vostra Sig. Reverendissima che si degnino farmi tenere così amorevolmente et diligentemente ragguagliato di tutte l’occorrenze, la notitia delle quali, per il lume che mi dà, può cadere non manco ad utilità delle negotiationi vostre che a reputatione et contentezza mia. Di che io ho loro obligatione infinita et l’averto che non mi potrebbon far certamente cosa più grata.
     Notato adunque quanto vostra Reverendissima Signoria mi scrive, et parendomi tutte cose d’importanza, fui, per spatio di circa due hore, col Re Christianissimo el con l’Illustrissima Madama qui al Vergier, esponendo a parole quelle parti delle lettere di Vostra Reverendissima Signoria, ch’io giudicai essere convenienti et degne di comunicarsi, usando nel parlar mio quei termini et quelle ragioni che mi parvero più efficaci et più potenti per muoversi sua Maestà ad aprirmi l’intrinseco et vero concetto dell’animo suo, sopra le cose per me espostele. Et certo io ho trovato l’uno et l’altra tanto ben disposti a tutto questo che vuole Nostro Signore, quanto io mi persuado che più esser non possa vostra Signoria Reverendissima, nè il Signor Duca nostro. Perciochè circa quelle che più mi par che importi alla Republica Christiana et che più a core deve esser a sua Santità, ch’è la cosa che porta Fra Saba delle cose del Turco, conforme a quelle che avisa l’Imperatore, la sua Christianissima Maestà mi rispose che a lei pareva di grandissima importanza et degna che tutti i Principi Christiani vi voltassero i pensieri et l’opere, et perchè giudicava che ’l primo et miglior rimedio di questo male fosse la unione de’ Principi, acciochè, se il Turco accordando, o debellando il Sofi, volesse voltar l’armi contra Christiani, havesse causa di tener la briglia in mano; sua Christianissima Maestà, per dar essempio a gli altri che facessero il medesimo, era contento di ratificar la tregua senza alcuna eccettione, quando et corne voleva sua Beatitudine se ben devesse metterci quattro Tornai, se tanti ne havesse, non che uno: la causa del qual l’ha tenuto fin qui ad andar con rispetto nel ratificarla, per le ragioni et cause altra volta scritte. Ma che hora che intende che le cose del Turco sono per haver presto, o per guerra o per accordo, prospero successo, et per conseguente quelle della Republica Christiana restar con grandissimo pericolo; posposto ogni suo particolare interesse, vuol far quanto dico di sopra, soggiungendo che ciò farà di tanto miglior voglia quanto ne lo conforta Nostro Signore, perchè dice haverlo per ragione et per volontà eletto per vero suo padre, et che sua Beatitudine, non pur in queste cose che concernono il ben publico, le quali ogni Christiano deve far quanto può, ma in tutte l’altre di qual si voglia natura, ha nell’animo suo fermo et stabilito d’essere sempre vero et obedientissimo figliuolo, et che intende che questa sua volontà sia nota non solo a Sua Beatitudine, ma a tutto il mondo, persuadendosi di ciò acquistar laude, et le cose sue non poter mai andar se non prospere (uso le sue parole formali) stando bene con la Chiesa di Dio et essendo obedientissimo figliuolo del suo Vicario. Et oltre al voler ratificar la tregua, come di sopra scrivo, mi disse ancora che io scrivessi a Nostro Signore, che Sua Maestà era prontissima a far quel più che volesse sua Santità, quando il bisogno lo ricercasse con le genti, co’ danari, col Regno et con la persona; imponendomi che di tutte queste offerte et promesse sue, io scrivessi largamente a sua Beatitudine, acciochè quella sapesse di poter disponere di quanto può sua Maestà, et potesse, se ciò fa mestiero, muovere con l’essempio suo tanto più gli altri Principi al bene et alla salute della Republica Christiana, alla quale più volte mi replicò che non mancheria mai.
     Circa le cose di Siena mi rispose che non poteva persuadersi che il Catholico, nè alcun buon ministre suo vi pensasse, perchè saria pazzia espressa, tuttavolta che, corne promise qui al Signor Duca nostro et a me, scriveria al suo Ambasciadore in Spagna, et parleria qui al Re Catholico di sorte che sua Altezza potria bene esser certa che quando non si tentasse, saria uno offendere S. Maestà Christianissima parimente corne Nostro Signore et il Signor Duca, et che quanto potessero le forze sue non mancheria in tal caso al Papa, nè al Signor Duca, et per conseguente al presente governo di Siena, per la confederatione et obligo et affinità,  che ha con sua Beatitudine et con la casa sua et adherenti di quella. Soggiungendo, che io scrivessi a S. Santità, et alla Excellentia del S. Duca, che quanto a questa parte non si dessero un pensiero al mondo, et facessero buona ciera, et che se bisogna o gente o altro da sua Maestà per questo, o per altro conto, basteria sempre una sola parola, et che poi da gli effetti conoscereste tutti, se osserva Nostro Signore, et se cordialmente ama le Signorie Vostre, con parole dette veramente senza una simulatione al mondo, et con tutto l’affetto del cuor suo. Dapoi cominciò a ragionar meco di diverse cose, certo con molta larghezza et domestichezza, et delle sue particulari mi disse assai, corne è de’ danari che si trova al presente, di quanti ne vol mettere insieme, et il gran numero d’artigliaria et la molta munitione che fa, perchè serva per tutte le città di Francia, senza haverne al bisogno a mandare dall’una all’altra. Fortifica  tutte le terre alle frontiere. Fa di nuovo una grossa terra su uno porto, che del nome non mi ricordo, all’incontro d’Inghilterra, et ponle nome Francesca.  Diminuisce le pensioni quasi tutte. Narrommi quasi tutte le cose che Nostro Signore et sua Maestà parlarono insieme a Bologna, et più  volte ridendo mi disse che Sua S. est bien fin, et sagge avec, et che s’accorse che quando sua Maestà entrava in parlar di cosa che non le piacesse, corne quella del Regno di Napoli, Sua Santità con gran destrezza entrava in altro ragionamento et cavava il Re di quello. Dissemi ancora il parlare che gli fecero alcuni Cardinali, notando dal parlar loro chi gli pareva savio et chi il contrario. Entrò alla fine su le cose del Signor Duca nostro, laudandolo estremamente et mostrandomi amarlo sopra modo, et certo se il Signor Duca se ne vien così contento et satisfatto del Re et di Madama, come essi restano della Excellentia sua, la stima et l’affettione fra loro deve essere grandissima.
     Hannomi detto una cosa loro molto confidentemente, la quale perchè mi par che tenga di Chy, non iscrivo altrimenti.
     Mi dissero haver lettere de’ 7 et de gli 8 d’Inghilterra, continenti come quel Re era venuto circa 6 leghe in poste a luogo ove era con Eboracense et il Secretario Bonavilla per parlar seco, et così haveva fatto, usando termini, et parole honorevoli del Re, et mostrando più tosto inclinatione che altramente, all’accordo con questa Maestà la quale mi disse haverne hora più speranza, che havuto ne habbia sin qui. lo haveva, prima ch’io fossi col Re et con Madama, inteso da chi haveva sentito leggere queste lettere il contenuto d’esse; et però avanti che di ciò mi parlassero dissi loro che N. Sig. et V. Signoria mi scrivevano che sua Santità extremamente desiderava questo accordo, corne elle sapevano, et che con quel Re useria tutta la sua auttorità per disporlo el che bisognando farsi intanto più una cosa che un’altra, per sua Beatitudine, lo dicessino perchè si faria tutto non altramente che se fosse cosa propria. Ne mostrarono un grandissime piacere et dissero che aspetteriano nuove lettere, el nascendovi alcuna difficoltà, ricorreriano al favore et aiuto di Nostro Signore, perchè la risolvesse. Non feci doglienza del non haver conferito col Signor Duca, nè con me la praltica, perchè già la havevano notificata, come per l’altra scrissi. Dissemi le nuove di Spagna, onde ogni giorno vengono lettere, et ultimamente venne l’aviso della morte di Barbarossa che è molto piacciuto al Re, et piglialo per buono augurio.
    
Signor mio Reverendissimo, Vostra Sig. mi scrive che Noslro Signore desidera saper da me che risolutione porta di qua il Sig. Duca circa le cose di Modena et di Reggio, dalla quale la sua Santità possa essaminar qual sia l’animo del Re verso di lei, et deliberare quid agendum in questa prattica della lega col Catholico, sopra la quale Vostra Signoria dice ch’io farò cosa grata a Nostro Signore se dirò qual sia il giudicio mio. Rispondo che quanto alla cosa di Modena, il Signor Duca è obligato al Re di non far nota la risolutione fatta seco sopra ciò, se non a Nostro Signore et a Vostra Signoria Reverendissima, perchè così volse sua Maestà. Onde il Signor Duca, essaminato che, scrivendolo per lettere, era quasi necessario anche altri che voi due lo intendesse, giudicò esser bene che ne sua Excell. né io ne facessimo parola, et però non se n’è scritto. Ma havendo sua Excellentia avisato Vostra Signoria Reverendissima, secondo che quella mi dice nella sua, che notificheria il tutto a bocca, el che quanto al risolversi con Spagna, s’aspettasse l’arrivata sua, ella può ben giudicare, che porta cosa da sodisfar grandemente a Nostro Sig. et a lei, et che, come prudente et desiderosissimo del bene et honore di sua Santilà, ricorda il soprasedere a far altro con Spagna, fin che sia costà. Il che io approvo, come quelle che mi par trovare in costoro qui tanta buona volontà, tanto amore verso di voi et tanto desiderio di star sempre uniti con Nostro Signore et col Signor Duca, quanto più dir si potria. Costoro intendono le cose di Spagna poco meno che le loro proprie: stimo che lo crediate, et questa parte è degna di consideratione. Se la Lega con Spagna sia larga, poco o niente vi profitterà col Catholico, et costoro crederanno che non confidiate di loro interamente. Se sia stretta, il Christianissimo non solo non confiderà più di noi, ma entrera in gran gelosia, et non vi sarà più amico, parendogli che nè lega, nè sua buona dispositione, nè affinità li giovi con voi. Et è anche in ciò da haver gran rispetto al Signor Duca, perchè è parente, è dell’ordine, et credo anche per commissione di Nostro Signore, obligato al Christianissimo Re, la cui Maestà et questa madre, mi paiono così vostri, corne se fossero o essi del sangue vostro, o voi del loro, et questo medesimo intendo da chi veramente il sa. Confesso che è prudenza grandissima intrattenere gli altri Principi, et da buon padre et pastore fa Nostro Signore à così fare, et qui sommamente è in ciò laudata la sua Beatitudine, la qual se pur desidera et vuole largamente et pro forma legarsi con Spagna, per non lasciarlo disperato, et per cavarlo d’alcuna sospitione nella quale fosse entrato per l’affinità contratta qua si potria far con saputa et con volontà del Christianissimo, il quale credo io che con le ragioni che se li potriano allegare, facilmente s’indurria non solo ad approvarla, ma a laudarla. Alla lega stretta, secondo il mio debil giudicio, non è da pensare, con ciò sia che senza speranza d’acquisto, s’anderia a certa et manifesta perdita. Et se anche Nostro Signore volesse pur farla larga, come dico di sopra, ancor prima che la conchiudesse, aspetterei l’arrivata del Signor Duca, perchè il tempo è breve, et necessità non vi stringe et in tanto vedreste che fine ha questa prattica d’Inghilterra col Christianissimo. Alla quale è da haver gran consideratione, perchè potrebbe haver fondamento negli animi di là migliore assai di quel che forse si pensa. Ne si pigli per voi in causa di diffidenza il non haver conferito col Signor Duca ne con me la prattica; perchè forse non vi avevano speranza, quando mandarono là il secretario et temevano non esser da altri beffeggiati nel conferirla. Potrebbe ancor essere che per inavvertenza fosse stato fatto, perchè io trovo costoro in simili cose essere straccuratissimi, et li di passati io avvertij il Re et Madama per mezzo del Bastardo, della negligenza che usavano in simili cose di non notificarmi, etc., onde nacque la venuta poi a me del Gran Mastro in Angiers che mi confessò ingenuamente esser vitio naturalissimo ne’ Francesi la straccurataggine. Si che non è diffidenza. Ho detto quello che m’occorre per obedirvi, Signor mio Reverendissimo, mosso da quelle poche ragioni che al mio debil giudicio sono occorse. Diria forse Fra Nicolò nostro, se costi fosse et vedesse questa lettera, che io fossi di già troppo a’ Francesi affet-tionato. So ben che in Nostro Signore et in Vostra Signoria non caderà tal pensiero, sapendo che altra affettione non ho che mi potesse per passione fare uscir del camino della ragione, se non quella che ho a Nostro Signore, a Vostra Signoria et al S. Duca.
    
Questo Vergier è la più bella cosa ch’io vedessi, o creda veder giamai. Ci staremo ancor otto giorni poi si torna ad Angiers, et di li fra quattro giorni ce ne andaremo a Nantes chè pur vuole irvi il Re, per satisfare alla Regina et staravvisi un mese.
    
Ho parlato della cosa de’ XX mila ducati del Reverendissimo di Siena con ogni possibil caldezza. Trovo che ’l Re, sin quando fu a Milano, donò tutti i crediti del Re Luigi al Cancelliere, al Gran Mastro et all’Ammiraglio, a’ quali ho parlato, et li trovo volti a gratificare Nostro Signore et Vostra Signoria Reverendiss., ma loro par duro a lasciar sì bel boccone. Pensate se per non li offendere fosse da comporla in qualche somma, et avisimelo Vostra Signoria, che credo il Reverendissimo Petrucci nostro non se ne discosterà perchè me ne disse qualche cosa a Siena. Questi son ministri da tenerli contenti perchè sono quelli che col Christian issimo Re fanno il tutto.

Ho parlato con la Duchessa di Nemors circa quanto mi scrive Vostra Signoria del voler lei il pagamento de’ cento mila scudi a ragione di ducati larghi. Credeva fosse il profitto de’ Salviati, et non di Nostro Signore, et che il danno fosse suo. Inteso quanto scrivete, et quanto vuol sua Beatitudine, si è subito quietata, et come buona et obediente serva sua, affettionatissima a lutta la casa, non ne parlerà. Tanto tanto si raccomanda a Nostro Signore et a Vostra Signoria.

Ner ragionar che mi fece il Re et Madama, mi dissero havere ordinato che si mettesse la decima concessa da Nostro Signore in quel modo che la porto le Sui, acciocchè i danari fossino presti, se bisognassino per conto delle cose turchesche.

Parlai della Prepositura del Reverendissimo Salviati. Madama mi disse che la faria spedire et che io ne parlassi col gran Mastro, et così feci. Egli mi ci mise qualche difficoltà la quale m’ingegnero risolvere et sforzerommi d’haver il Placet.

Il Cancelliere mi dice havere scritto costà corne le cose della Concordata ne’ parlamenti si dispongono’ ottimamente et che li Parisiensi si sono mostri con quei della università molto vivamente in favor del Christianissimo Re. Io scrissi a Bartolomeo quanto Vostra Signoria havrà visto, perchè così m’era stato riferito circa quella parte. Dissemi ancora che bisognava in alcuna parte rassettar la Bolla mia, come mi metteria in scriptis, per mandarla a Roma, et fare che la cosa andasse bene. Et a Vostra Illustrissima et Reverendissima Signoria humilmente bacio le mani.

Dal Vergier, A’ XIIII di luglio 1518.

Di V. S. Reverendiss. Humil. ser.
Il Car. di Bibiena.