Ansenis, 13 ottobre 1518

A Giulio de’ Medici e a Lorenzo de’ Medici

Reverendissimi et Illustrissimi Domini etc.
    Dopo l’ultima mia de’ III non ho scritto alle Signorie Vostre, per non haver havuto cosa che lo ricercasse: ne anche da’ 5 in qua, prima che hoggi, sono stato da Madama. Perciochè essendosi quel dì ammalato un mio cameriere, non senza qualche sospition di peste, non mi pareva conveniente andare da sua Excellentia, per non essere giudicato indiscreto et imprudente.
     Non hiersera l’altra, arrivò in poste il Christianissimo con sei persone solamente, dalla Regina et dalla madre; et hiermattina manda da me il Secretario Babon a dirmi che desiderava che io andassi da sua Maestà per parlar meco, et perchè quasi in quello instante era morto il detto mio cameriero, risposi non volere andare per rispetto della morte d’un servitor mio, significandole però, che benchè fosse morto in otto dì, nientedimeno non si era visto in lui alcun segno di peste etc. Stamane rimandò per me il detto Babon, et così hoggi sono stato prima con Madama sola, poi con sua Maestà sola più di due hore, et poi gran pezzo col Re et Madama insieme domesticamente quanto dir si può. Di diverse cose sono stati i ragionamenti, ma perche la lunghezza delle lettere mie non vi porti fastidio, come hanno fatto l’altre, summa tangam fastigia rerum.
     Il Breve di Nostro Signore in risposta della lettera di man propria di sua Maestà, le è stato gratissimo tutto, ma praecipue quelle poche parole che sono di mano di sua Beatitudine. Tutto volse che le fosse esposto da me. Credo farà la risposta.
     Circa le cose d’Ungheria promette di non mancare di mandar sussidio a quel piccolo Re, così per obedire et far cosa grata a N. Signore, come per conoscere questo essere officio et debito di vero Principe Christiano. La causa principale perchè mi voleva, oltre a molte altre cose, era questa elettion del Catholico; sopra che in sustanza mi disse in grandissime secreto, sua opinione et volontà essere, che per Nostro Signore et per sua Maestà si faccia ogni opera possibile, acciochè ella non vada innanzi, et che si corrompano con danari, con promesse et con ogni possibil mezzo gli Elettori a non mettere in esseculione quello che hanno promesso a parole. Et giudica la cosa non dovere essere molto difficile, per quanto ha dal suo Oratore là, che le scrive che la Dieta è risoluta senza perfetta conclusione, et che a lui è stato di nuovo parlato da quelli che mostravano di voler servir Cesare, et che egli se ne torna con tutti i parlicolari, da non dover dispiacere al Christianissimo. Oltre a questo dice sua Maestà sapere che il Catholico si diffida di trovar quella grossa somma di danari che per tal conto gli bisogna sborsare a gli Elettori. I quali vedendo il pagamento del Catholico andar poco et tardo, et di qua potere haverlo grosso et presto, come sua Maestà offerisce di farlo a questo effetto, et facendo gli Elettori in ciò quello che è il bene et l’honor loro, si persuade il Christianissimo che non sia di gran difficoltà il disviarli da questo proposito, massime poi che son tornati a casa loro, et fuora della presenza di Cesare. Et, se pur pur questa elettione havesse effetto, il Christianissimo conforta Nostro Signore a non far cosa che sia fuor dell’honore, della autorità et della dignità sua et di quella Santa Sede. Et per questo conto, come primogenito della Chiesa, et buono et obediente figliuolo di Nostro Signore, offerisce, bisognando, a sua Beatitudine le genti, i danari, lo stato et la persona, con la quale, et con quelle sforzo che Nostro Signore vorrà, dice che verra in Lombardia, in Toscana, a Roma et ove più placerà a sua Beatitudine, usando in questo, parole di natura che manifestamente io cornprendeva che procedevano dal centro del cuor suo, imponendomi più volte che io per sua parte confortassi Nostro Signore a star di buona voglia, el mostrare a Cesare o al Catholico, quando richiedano investitura, incoronatione o altra simil cosa, di esser Leone nomine et re, et ricordarsi che ella ha un Re di Francia, del quale, et di quanto ha, può la sua Beatitudine disporre non punto meno, che del Signor Duca. Et così prometteva a fè di gentil’huomo: uso le parole proprie. Et seguitando più oltre disse che gli pareria fosse a gran proposito di fare una unione stretta, et un corpo medesimo tra Nostro Signore, et Sua Maestà. Signor Duca, Signori Fiorentini, et Svizeri, potendo tirarveli, et, volendo sua Beatitudine, anche i Signori Vinitiani, acciochè si potesse star sul sicuro, et si togliesse la volontà et la occasione al Catholico di poter nuocere ad alcuno de’ confederati soprascritti, quando mai gliene venisse voglia o pensiero, poi che fosse Imperatore, dicendo che havendo esso Catholico il titolo congiunto insieme con la sua gran potenza et con le ragioni che ha sopra quasi tutta l’Italia, potria far del male assai, non essendo chi reprimesse l’impeto suo. Soggiugnendo sua Maestà che ricordava questo con ogni confidenza a Nostro Signore et alle Signorie Vostre, così per il bene et honore di sua Santità, della Sede Apostolica et dello stato di Fiorenza, come per il suo proprio, et ponendo la mano sopra il petto, giurò dir queste parole et far le soprascritte promesse con tutta la efficacia et prontezza dell’animo suo: ma che quando a Nostro Signore paresse altramente, sempre si accomoderia con la volontà sua, pregando sua Santità a pensare et essaminar bene il tutto et avisar poi la Maestà sua la quai concluse che in questo et in ogni altra cosa seguiria sempre il sapientissimo consiglio di S. Beatitudine.
     Mi haveva il Christianissimo chiamato ancora per parlarmi della seconda risposta venuta dal Catholico sopra l’approvatione del parentado di sua Altezza con Madama Carlotta, et appresso dell’accordo et parentado suo fermo, stabilito et giurato col Serenissimo Re d’Inghilterra, la cui nuova venne qui due dì sono. La quale io havrei subito per cavallaro mandata, ma tenendo io per certo che i Reverendissimi Legati di là subito l’habbiano mandata volando, giudicai superflua tale spesa. Domandando al Christianissimo le particolarità di questo accordo, mi rispose non havere havuti i capitoli. Così anche mi disse Madama, et mi hanno dato la copia a punto della lettera havuta sopra ciò da i loro Ambasciatori nella quale non scrivono alcun particolare, come vedrete per la detta copia che mando con questa, la quale è ben de vedere.
     Della lega mi dice il Gran Maestro essersi in Inghilterra parlato qualche volta, secondo che in particolare gli scrive l’Ammiraglio suo fratello. Et più mi dice che hanno capitolato d’abboccarsi insieme i due Re, et che Tornai si restituirà alla venuta de li Oratori Anglici, che verranno dieci dì dapoi la partita di là dell’Ammiraglio et de’ suoi colleghi.
     Che il Catholico, per quanto ha potuto, habbia operato che Tornai non si restituisse, dicemi il Christianissimo non pigliarne un dispiacere al mondo, anzi parerli che l’habbia fatto con ragione, percioché la Città e in mezzo delle cose di sua Altezza. Laudasi assai del Reverendiss. Campeggio, et per conseguente di Nostro Signore grandemente, che habbia aiutato questo accordo. Di Scotia non dice altro che quanto per l’ultima scrissi. E’molto da ringratiar Dio di questo accordo, così perchè potria causar la effettuale unione de gli altri Principi, come perchè no essendo seguito, force accendeva qualche fuoco, et per avventura quei Lanzichinechi, in numero non di 14 mila, come scrissi, ma di XI mila, erano adunati per ordine do costoro ne’ confini di Loreno, et la Tramoglia forse per questo era qua chiamato per far prova con la prestezza et secretezza di recuperar Tornai, con alcuna intelligenza di dentro. Questa parte è ben saperla, ma per ogni rispetto tenerla secreta.
     Il Re et Madama insieme, et ciascuno da per sè, mi dissero haver deliberato, dopo il parto della Regina, venire in Italia.
     Io non scrivo altramente le doglienze per me fatte col Re Christianissimo sopra la morte della figliuola, nè il congratularmi dell’accordo d’Inghilterra, nè delle risposte di Spagna sopra la cosa di Madama Carlotta, nè il laudarla che fece sua Maestà de buono animo suo nel caso della elettione del Catholico, perchè mi pare superfluo, persuandendomi che le Signorie Vostre pensino che io non manco mai in simili oficij, avvenga che da me molto spesso non vi sieno scritti.
     La Corte se ne va a Parigi, così per fuggir Ambuosa per rispetto della Regina, all cui Maesta si occulta, come ho scritto, la morte della figliuola, come anche per recevere et honorare magnificamente gli Ambasciatori Inglesi.
     Il Re si lauda molto della Brettagna et di tutti quei porti, parendogli cosa bella, grande et forte. Et dicemi haver trovato che la
Brettagna ha tre mila navi di gaggia, et su queste cose si stese assai.
     Come scrissi, il Signor Giovan lacomo è qua. Madama non l’ha udito, il Re hieri l’udì poco, et stamane lo ha destramente schifato. Il che havendo io inteso, quando andava dal Re, hoggi a certo proposito ho con Sua Maestà et con Madama destramente ricordato quelle che in ciò conviene all’honor loro et a i molti et grandi meriti del prefato Signor verso la Corona di Francia. Credo haver così detto loro il vero, come giovato a lui, che forse ne ha qualche bisogno, perciochè mi par trovare gli animi di costoro poco satisfatti di Sua Signoria, massime per questo conto, cioè, che nella capitulation sua, credo con Grisoni, et forse anche con qualche Canton di Svizzeri, è una clausola che se mai qual si voglia Duca di Milano levasse a lui o a’ suoi successori Vigevano, havuto da i Re di Francia in pagamento di cento cinquante mila ducati, i quali in tal caso li debbano essere restituiti, si è obligato et ha testamento che li Svizzeri habbiano di detta somma ad haver cinquante mila ducati. Questa parte par che sia quella che qua preme: così intendo.
     Parlando io col Re et Madama per un salvocondutto per il Signor D. Girolamo di Vich il quai mi scrisse li dì passati voler da questa Maestà, per passare di qua nel suo ritorno in Ispagna, mi risposero, non bisognar più, perciochè sapevano che il Catholico lo haveva rifermato per suo Ambasciatore a Roma ad instanza di Nostro Signore. Et di lui mi parlarono assai, conchiudendomi che esso è molto prudente, et d’assai persona, ma poco amico de’ Francesi. A che io risposi quanto mi scriveva Don Girolamo, et quel più che a me occorse circa ciò, in modo che ne restarono, secondo me, molto satisfatti.
     Domane partiamo di qua, et ce n’andiamo a Bruge, ove si starà 4 o 6 giorni. Dipoi a Ciartres et di lì a Parigi.
     La peste va pizzicando: et parmi che sia non pur nella corte, ma in ogni villa et villaggio ove andiamo. Nel Convento qui di San Francisco, ove era il Reverendiss. Araceli, morirono due Frati di peste in una notte. Onde sua Signoria così ammalata com’era, subito in barca se n’andò verso Anger, nè di lei ho inteso poi altro. Qui è nuova, secondo che mi dice Madama, che il Duca di Ferrara è ammalato non leggiermente, et il Marchese di Monferrato è morto o in quella vicinanza.
     Il Reverendissimo Burges, che continuamente era qui insieme con me, vista la morte del mio Cameriero, et giudicandola peste, tolse suso alla maggior furia del mondo.
     Il Magnifico Ambasciator Florentino qui, che è Messer lacomo Gianfigliazzi, devotissimo servitor della Casa, desidera per un suo figlio prete una lettera di naturalità in Ispagna. Ho scritto al Nuntio che la dimandi, accertandolo che farà cosa gratissima a Nostro Signore et alle Signorie Vostre, et che da quelle glie ne saria scritto. Priegole che per non farmi bugiardo, et per beneficare un si fedele et divoto servitor loro, come è il prefato Ambasciatore, si degnino commettere che per il primo spaccio si scriva di ciò al Nuntio; il che a me non sera rnanco grato che alla sua Signoria, optime merita della casa vostra, et cerlo Nostro Signore devria fare qualche gran bene al suo figliuolo.
     Il Reverendissimo Boist è qui et alle Signorie Vostre et a Nostro Signore in primis molto si raccomanda. Et io a Sua Santità bacio humilmente i santissimi piedi, et a Vostre Signorie Illustriss. le mani con lutto il core.
     Da Ansenis, a’ 13 d’ottobre 1518.

Humilis. ser. il Car. di Bibiena.