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Parigi,
20 Novembre 1518
A
Giulio de’ Medici
Il
Re Christianissimo mi ha data hieri più grata audienza che io stesso
havessi mai saputo desiderare. Et venuta sua Maestà non so come
in proposito, mi disse quanto mal’animo ella habbia contro il Signor
Giovan lacomo Triulio. Io, che molto desiderava questa occasione, non
mancai con quel miglior modo che seppi, di favorirlo, prima con ricordarle
quanto spesso sogliono i Principi esser male informati della verità
delle cose, et quanto le persone chiare sieno per ordinario sottoposte
alle calunnie, et finalmente pregando et confortando in nome di Nostro
Signore ad haver rispetto a i gran servitij et a i molti meriti suoi verso
la Corona di Francia, alla età di sua Signoria, alla nobilissima
casa Triultia, vera et devota servitrice di questa Corona, alla clemente
et benigna natura di sua Maestà, et finalmente alle raccomandationi
di Nostro Signore. Rispondendo gratiosamente, narrommi di nuovo la cosa,
espose li beneficij che il detto Signore et tutta quella illustrissima
casa haveva ricevuti da Francia, et la poca causa che egli haveva di far
questo, et di quanto pregiudicio saria stato alle cose di sua Maestà,
non se n’essendo risentito, come è, conchiudendo che per
amor di Nostro Signore gli haveranno ogni rispetto, et che per honor di
sua Maestà, et per torre ad altri l’animo di fare il medesimo,
voleva che sua Signoria disfacesse quelle che haveva fatto, et che nel
resto lo haveria in quel conto et gratia, che prima. Mentre io parlava
con sua Maestà, le venne aviso come il Signor Giovan lacomo a Ciartres,
el ove era rimaso ammalato, stava gravissimo; di che il Re si turbò
tutto, mostrandono veramente gran dispiacere, et ordinò subito
ad un suo gentilhuomo che andasse in poste a visitarlo et confortarlo
per sua parte. Dissemi quello che già prima io haveva inteso; cioè
che Mons. il Gran Maeslro el il Signor Giulio si erano nelle cose del
predetto Signore portati tanto bene che ne meritavano commendatione, et
molto si stese in laudarli.
Quanto a quello che Vostra Signoria Reverendissima
mi scrive molto a lungo per parte di Nostro Signore, querelandosi delle
petitioni del Christianissimo fatte per M. Leon Bello, Madama non volse
per niente che io mostrassi la lettera al Re, perchè sua Maestà
haveva, molti dì fa, scritto a San Malò che di quelle cose,
per le quali M. Leon fu mandate, non si parlasse più altramente;
conciosia che sua Maestà verria a Milano, intenderia meglio la
materia et manderia poi uno a Nostro Signore, et che si era mandata costà
la cedola, la quale Vostra Signoria Reverendissima mi scrive che io dovessi
farmi mostrar da costoro, sulla quale allegano essere la promessa fatta
da Nostro Signore in Bologna sopra questa petitione loro. Così
essendo sopita la cosa, seguitai il ricordo di Madama per non alterare
il Re. Il quale, per mostrar che non è governato et che tutto si
fa con volontà et commission sua (il che Dio sa come tal volta
è vero in cose tali), sta per ordinarlo sul giustificare et difendere
le petitioni, et mal volentieri cede. Madama si duole che Nostro Signore
non presti fede a’ ricordi suoi; la quale prega che in simili petitioni,
Sua Santità, nè le Signorie Vostre non piglino un dispiacere
al mondo, ma se ne ridano et rispondano dolcemente: rimettendo la cosa
qua, et lasciando far poi a lei, che si leverà di fastidio.
La cosa de’ fuorusciti di Reggio
mi ha fatto tanto stomaco, che mal con parole potrei esprimerlo. Al Re
è grandemente dispiacciuto questo brutto atto, et caldamente m’ha
promesso di scrivere a Lotrec et a’ Governatori della Città,
che non sieno ricettati sul Dominio suo, et dice che se Nostro Signore
volesse convenir seco di far il simile de’ suoi, faria sul Dominio
di sua Maestà pigliare et mandar prigioni a sua Santità
tutti questi et altri simili homicidi, ladri, tristi, fuorusciti dello
stato Ecclesiastico. Solliciterò che le lettere sieno calde et
vadano presto. Quanto alla cosa di Federico da Bozzoli, dice il Re che
non sta seco, che ben lo ama, ma che non si portando bene verso Nostro
Signore et le cose sue, non può se non dannarlo et odiarlo, et
che, se sua Santilà vol castigarlo, non ne haverà dispiacere,
portandosi esso tristamente, come fa, et che ne sarà contento.
Ma che sua Maestà ricorda bene a Nostro Signore et alla Signoria
Vostra Reverendissima che, andandovi con poca gente, potria non se n’havere
honore; andandovi con assai, la cosa non merita la spesa; et che a lui
pareria che Nostro Signore si contentasse che sua Maestà lo ammonisse
et riprendesse di queste triste cose, che fa verso sua Santità,
mostrandoli che non se ne rimanendo, offende sua Maestà parimente
come Nostro Signore: et se poi segue in mal fare, che unitamente Nostro
Signore et sua Maestà gli diano tal castigo che sia essempio a
tutti gli altri etc. Dissemi sua Maestà che crede che egli venga
qua.
Ho parlato al Re caldamente de’ sali,
et certo la sua Maestà non me ne risponde come io desidererei,
parendomi che troppo volentieri si fermi sul difendere le ragioni che
sono contra noi, et che mal consenta quelle che in contrario da me se
le allegano, scrittemi da Milaiio da Alessandro del Caccia, et da Fiorenza
da messer lacomo: pur io non cesserò, sin che ben mi chiarisca
di questa cosa, parendomi che sia di gran momento et di grande interesse
a Nostro Signore et alla Camera Apostolica. Et quanto a i sali comprati
a Genova, il Re scrive una lellera al Governatore in quel modo che il
Caccia la demanda.
Qui non ci è nuova alcuna, se non
che gli Oratori Inglesi vengono via el saranno presto qua, ove si prepara
di dar loro honori grandissimi.
Il Christianissimo di sua bocca ha comandato
l’espeditione delle cose del Signor Duca nostro con quell’amore
et efficacia che se fossero sue proprie, et un’hora fa Monsig. il
Cancelliere mi ha mandato a dire che ha havuto ordine dal Re etc., et
che mostrerà a Nostro Signore et alle Signorie Vostre tutte ch’elle
non hanno servitore nè amico qua che sia più caldo di lui
nelle cose vostre, et che per la esperienza lo conoscerò. Et a
V. Signoria Reverendissima bacio le mani.
Di Parigi, a’ 20 di Novembre 1518
Di V. Illustriss. et Rcvereiidiss. Sig. humil. ser. il Car. di Bibiena
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