Parigi, 26 novembre 1518

Bernardo Dovizi da Bibbiena a Giulio de’ Medici

Reverendiss. Signor mio. L’alligata mia a Vostra Sig. Reverendissima è tutta in risposta delle tre lettere sue. Quella havrà havuto le due precedenti mie de’ XIV et de’ XV sopra le Bole della decima. Mi haveva prima deto il Re a Vandomo, et poi a Ciartres scrittomi da Torsi Samblansé, esservi certa clausola che non satisfaceva loro. Io, per mia mia, risposi a Samblansé che se clausula alcuna vi era che non stesse bene, si acconceria, confortandolo a non star di mala voglia per carico che altri carcasse di dargli appresso del Re, di quel che buonamente con tanto amore et fede haveva fatto con voi, per la cosa de’ cento mila franchi, senza haver prima fatto essaminare il contenuto delle Bolle etc. Dipoi il Re sul nostro partir da Ciartres le fece vedere al suo Consiglio: et come ho scritto per le due mie prefate, le Bolle non piacciono loro per esser (secondo che dicono) fuor dello stile di quante mai se ne son concedute in questo Regno. Honne parlato et disputato la cosa assai col Re, et con Madama. In fine dicono che non vogliono in questo mettere nuova usanza nel Regno, et che hanno tanta fede in Nostro Signore che si persuadono che Sua Santità, intese le ragion loro, ne resterà contenta, et risolvono meco che le Bolle si facciano appunto nella forma che furono l’altre di Sua Santità, et a questo effetto me n’hanno data la copia perchè io la mandi come fo, con questa alla Signoria Vostra Reverendiss. et promettono di nominare et far depositario di Sua Maestà per questo conto M. Iacomo Salviati come l’haveva fatto sua Beatitudine. Et quanto alla obligatione et sicurtà del Re, di spendere poi questi danari nell’impresa contro infideli etc. promettono di farla come meglio piacerà al savio vostro, et io credo che sua Maestà non mancherà di quanto in ciò promette.
     Poi che i Christianissimi Re sono soliti d’haver sopra le decime, le Bolle nella forma che costor dicono et mostrano, io supplicherei caldamente che in queste si contentasse la Maestà sua, si per farle la gratia quanto più gratiosa si può, essendo certa che se la impresa mai si fa, queslo Christianissimo Re ci spenderà molto maggior somma et havrà la maggior banda nello essercito che vi sia, si ancora per conto de’ cento mila franchi, che in vero non è somma negligenda. Ma certo mi persuado essere superflui i preghi et ricordi miei sapendo quanto sua Santità et la Signoria Vostra Reverendissima prontamente satisfanno alle giuste petitioni di questa Christianissima Maestà. Vi è l’honore et l’utile di Messer Iacomo, et se vi paresse che non ci fosse interamente quel di Nostro Signore, a levar delle Bolle il depositario che già Sua Santità haveva in esse nominato, si potria farlo in un Breve da parte, come l’altra volta, et io poi mi sforzerei che fosse accettato qua in quel modo, avenga sin qui non me lo habbiano voluto mai consentire. Se pur anche per Breve non lo volessino, a lui non mancherà l’essere depositario del Re in quel modo che saria di sua Beatitudine.
     A Monsignor Reverendissimo Boisi, al gran Maestro et all’Ammiraglio è stata gratissima l’Ambasciata fatta loro per me in nome di Vostra Signoria Reverendissima, et quanto possono ne la ringratiano, et grandemente le si raccomandano. Si io scrivessi tutto quelle che spesso vien parlato tra questi Signori, ma praecipue tra il Re, Madama et me, in laude et honor di Vostra Signoria Reverendissima, quella forse estimeria che io fossi più ceremonioso di quelle che conviene alla grande et domestica servitù mia verso lei, et al molto amore ch’ella si degna portarmi.
Il Re m’ha detto che dell’abboccarsi Monsignore, il Gran Maestro et Ceures, non si è ancora fatta certa resolutione, et che forse se n’andra in fumo, se bene da Spagna è molto procurato.
     Sua Maestà Christianissima m’ha detto, il parentado già scrittovi del Duca di Gheldria con la nipote, credo, del Duca di Sassonia, essere concluso et stabilito. Al qual Duca di Sassonia il Re mi dice voler voltar tutti i pensieri et opere sue per farlo Re de’ Romani, non andando innanzi la cosa del Catholico, come si persuade, anzi come tien per certo che non andrà.
     Per non conculcare tante cose in una sola audienza, non ho per questa volta parlato col Re di quelle d’Ungheria, nè del Turco. Farollo come prima parlarò a sua Maestà et aviserò.
     Il Re m’ha promesso i capitoli dell’accordo d’Inghilterra, et se ben penso che Nostro Signore gli habbia havuti di là; pure, come io gli ho, li manderò alla Signoria Vostra Reverendissima.
Il Re mi disse voler chiamar qua il Signor Costantino, et vituperosamente levarli l’ordine. Dissi a sua Maestà che per rispetto delle cose turchesche si voleva darli, et non torli reputatione; et confortai sua Maestà a non voler farlo. Disse piacerle il ricordo mio, et per aventura si distorrà da quel pensiero.
L’orator del Catholico in Inghilterra, oltre all’haver fatto quanto pote per disturbar l’accordo, offerse in ultimo cento mila scudi ad Eboracense per parte del suo Re, perchè si buttasse in terra et si spianasse la Rocca di Tornai. Così m’ha detto il Re in massimo secreto.
     Come per l’altre ho scritto havermi detto il Christianissimo Re, il Duca di Ferrara vien qua, et sua Maestà lo fa sollecitare per lettere dell’huomo suo, al venir tanto presto che ci si trovi all’entrata de gli Oratori Anglici, la quale sua Maestà vole honorare quanto per lei si può. Non è chi sappia dirmi la causa, ma, giunto che sia, stimo subito la saprò.
     Al Signor Lorenzo nostro Cibo è stato parlato qua di certo parentado per lui, che pare che anche costà ne sia andata attorno qualche prattica col Signor Francesco et con Madama sua madre. Parmi cosa senza molto fondamento. Gli ho detto che se più gli ne è parlato, rimetla la cosa a me, et cosi farà. E’ giovane molto discreto, grave et gentile al possibile, come sa Vostra Signoria, et parendomi che qua non ne tenessero quel conto che egli merita, per esser quel che è a Nostro Signore et alle Signorie Vostre, ne parlai al Re caldamente, et sua Maestà lo ha fatto gentilhuomo della camera sua tanto volentieri del mondo, che è quello che esso molto desiderava. Il Cavalier Gran Gianni è qui meco, et in questa sua lunga et grave infermità passata, et nella sua lite ha speso ciò che haveva. Però il poverino si raccomanda humilmente alla molta liberalità di Nostro Signore, supplicandola lo sovvenga di qualche danaro. Di che anche io piego [a S. Beatitudine, così per conto suo come per il mio, perciochè non posso ne voglio mancargli. Hollo servito di trecenlo ducati, et hora ne lo servo di cinquanta, et così farò sin che ne avrà bisogno et sin che io potrò farlo, coprendo un altare et scoprendo l’altro. Ora vi dico io bene che questo è molto nuovo.
     Qui sono molte lettere da diverse persone di costà, che dicono lo olim Cardinale Adriano esserne andato al Turco, et qua se ne parla come di cosa vera, che assai mi dispiace.
     Non voglio lasciar di dire che Monsignor di Lodeva, fratello di Monsignor di San Malò, fa qua in tutto quel che gli accade, così buoni, così honorevoli, così caldi officij in tutte le cose di Nostro Signore et delle Signorie Vostre, che voi medesimo non desiderereste più.
Ho havuto i capitoli tra Francia et Inghilterra: non li mando a Vostra Signoria Reverendissima, perchè hiersera hebbi lettere dal Reverendissimo Campeggio che mi ha dato aviso havergliele già mandati.
Et noi tutti, et io iancora ci ingannavamo in credere che il Signor Visconte operasse qua in beneficio et honor di Lotrec, perciochè, per quanto ritraggio, ha contato grandemente, et Dio voglia che questo et alcune parole già usate da lui con uno del Re di Spagna, et dal medesimo Catholico, mandate a ridire al Christianissimo, non li faccian danno tanto quanto al Signor Giovan lacomo hanno nocciuto alcune che usì i dì passati; cioè, disse che se Milano haveva fatto Moian, forse Ciateau Brian disfaria Milan; volendo inferire che Lotrec haveva favore per conto della sorella, et subsequenter Moian è un bel palazzo in Francia, fatto dal quondam Cardinal di Roano, in tempo che governava il mondo, et venne in motto qua, che ancor vive: che Milan havea fatto Moian, volendo caricare il Cardinale de’ danari di Milano etc. La già detta sorella di Lotrec è Madama di Ciateau Brian.
     Ricordo di nuovo et raccomando alla Signoria Vostra Reverendissima la lettera in Spagna per la naturalità del figliuolo del Signore Ambasciator Fiorentino, et pregola che me dia risposta, perchè la aspetto con desiderio.
     Prego vostra Signoria Reverendissima che si degni avisarmi quel che pensa Nostro Signore fare circa all’entrar nella lega d’Inghilterra, etc. Et in sua buona gratia humilmente mi raccomando.
     Di Parigi. a’ 26 di novembre 1518.
     Di V. Illustrissima et Reverendissima Sig. humil. ser.

il Car. di Bibiena