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Parigi,
27 novembre 1518
A Lorenzo de’ Medici
Illustrissimo
etc. De’ 15, fu l’ultima mia, commune a Monsignor Reverendissimo
et a Vostra Excellentia, data qui ne’ borghi fuor di Parigi. A lei
non scrissi in particolare per non haver che dirle. Soprastetti ne’
borghi predetti da lunedi sino al venerdi, perciochè il Christianissimo
volse che io facessi in questa Città l’entrata pontificalmente,
la quale è stata la più bella che si sia mai fatta. Così
dice chi ha visto l’altre.
Al Re et a Madama parlai molto a lungo avanti
hieri di molte cose, come vostra Excellentia vederà per l’alligata
mia a Monsignor Reverendissimo, et innanzi ad ogni altra feci instanza
vivissimamente per la Excellentia Vostra di queste cose vostre di Lavaur;
dolendomi così destramente del Cancelliere che mettesse sempre
nelle cose nostre lunghezza et difficoltà, pregando che essendo
sua Maestà di così ottimamente verso Vostra Excellentia,
come noi sappiamo che ella è, mostrasse anche a’ ministri
suoi di volere in ciò essere obedita. Risposemi che egli era Re
et che in questa et in ogn’altra cosa spettante a V. Excell. me
lo mostreria. Hieri, fuor d’ogni aspettation mia mandò per
me, et disse che voleva che io fossi presente alla commissione che daria
a Monsig. Cancelliere, per veder se poi fuori di sua volontà la
cosa fosse messa in lunghezza et in difficoltà. Il Cancelliere
non si trovò, et però commise al Tesorier Robertet che li
dicesse per parte di sua Maestà che la cosa si espedisse giusta
la petition nostra, et che lo stato dato a V. Excell. da Lavaur si assicurasse
con la denominazione de’ dugento mila scudi, et commiselo con le
più amorevoli et calde parole del mondo. Francesco Nori è
hora dietro alla essecutione, et per lettere sue la Excell. Vostra havrà
qualche particolar più ch’io non scrivo, per manco fastidio
di quella. Qua s’aspetta fra quattro o sei giorni Monsig. di Borbone,
vedrò che il Re pigli in se la causa, per la quale esso Borbon
vi muove lite etc. Creda l’Excellentia Vostra che tanto mancherò
a queste cose sue quanto alla propria vita mia: et quasi che mi è
grato che le cose vostre qua non sieno state ispedite prima, per essermi
lasciata occasione di fare in esse qualche servitio all’Excell.
V. alla quale non lascierò di dire che il Gran Maestro, l’Ammiraglio
et Robertet sono cosi caldi et pronti nelle cose vostre, come fossero
loro proprie. Di Madama non parlo, perché, e lo sapete, senza che
vi sia scritto, che certo vi ama da figliuolo.
Al Re è stato supremamente caro il
ricordo vostro circa il suo particolar di lasciar di pratticare di farsi
Re de’ Romani: promettendo liberamente non solo di lasciar ogni
maneggio c’havesse circa ciò, ma etiam di non vi pensar più,
parendoli che il consiglio vostro sia veramente amorevole et savio. Disegna,
in quanto per lui si potrà, interromper la cosa del Catholico,
conforme al ricordo vostro, come dirò di sotto, et dice che saria
santa cosa per tutti, quando si potesse fare Re de’ Romani il Duca
di Sassonia, così mi ha detto che vi scriva per sua parte. Le offerte
fatteli per V. Excell. di promesse di mercanti nella Magna, quando venisse
il bisogno per la cosa sua etc., sono state a sua Maestà tanto
accette, et tanti ringratiamenti ne ha fatti, che difficilmente potrei
esprimer con la penna, quanto me ne disse a parole. Le parlai con ogni
possibil destrezza quel che Vostra Excell. mi scrive della cosa di Romagna,
per farlo cascar sul fatto di Siena. Allhora, senza rispondermi altro,
sua Maestà chiamò il Gran Maestro ch’era nella medesima
camera, et imposeli che mi dicesse quel che di V. Excell. havevano parlato
insieme quando restarono essi due soli il dì ch’io feci l’entrata.
Et il Gran Maestro disse che discorrendo insieme essi due conclusero che
se, stantibus terminis, mancasse N. Sig., di che Dio lo guardasse, si
troveria V. Excell. in termini non buoni, et con stato picciolo et non
fermo, et che per questo Sua Sant. non poleva far più prudentemente,
sin che si potesse farvi meglio, che darvi la Romagna tutta. Perciochè
essendo contigua alle cose di Milano et alle forze di sua Maestà,
seguisse poi quel che si volesse, quando mai altro voi non haveste, sareste
un bello et potente Signore, et che non saria chi mai cercasse d’offendere
l’Excell. V. essendo sotto la protettione di S. Maestà, la
qual vi haveva per tanto suo, e tanto vi amava che del continue pensava
al bene di V. Excell. et allo stabilimento delle cose sue non altrimenti
che alle sue proprie. Di poi si dolsero meco, con disteso parlare, che
N. Sig. non mi mostrasse volto a questa cosa di Romagna, come vostra Excellentia
scriveva. Et non uscendo essi ad altro, io, con parole mozze, toccai cosìi
un poco delle cose di Siena, e tutti due dissero che in vero non sapevan
bene le qualità di quello stato, et io glie ne dissi. A che il
Re rispose: Se il Duca il trova buono per se, a me non dispiaceria. Et
io dissi allhora: Sire, il Signor Duca mio, che depende così da
V. Maestà come da Nostro Signore, non vorria ne penseria mai d’haver
cosa per se, se non l’havesse con la volontà, con la soddisfazione
et con l’aiuto di quella, la qual rispose che desiderava ogni bene
di V. Excell. et che lo procureria non solo con le parole, ma ancor con
le forze, se bisognasse, et che così scrivessi all’Excell.
V. Le parole furono assai hinc inde, ma la sostanza è quanto scrivo.
Io non volsi per allhora dir parola del Catholico, percioché S.
Maestà m’haveva prima detto haver di nuovo d’Alemagna,
che della elettione sua non è niente, et che questo è più
vero che il vero, et che in ciò N. S. non è avisato secondo
la verità. Qui bisogna star a vedere che la S. Maestà sia
ben chiara di questa elettione et allhora, con quelle migliori vie che
si potranno, cercar d’indurre la Maestà sua a far quanto
desideriamo, se possibil fia. Di che io non mi dispero, ma bisogna che
in questo mezzo a Roma non si faccia cosa alcuna circa tal materia in
favor del Catholico ne di Cesare, perchè venendo a notitia del
Christianissimo, l’offenderia et sdegneria di sorte che non so quando
o come potremmo poi rassettarlo. Et a me pare che Vostra Excellentia habbia
hatto da prudente, come è, ad operare che le Bolle per il Catholico
si tengano in mano et secretamente; che certo è stata cosa veramente
santa, non manco per Nostro Signore che per il Re. Se costui fin che non
sa et non crede al certo la elettione, intendesse una simil cosa in favor
del Catholico, si persuaderia che il Papa, et non gli Elettori facessero
sua Catholica Maestà Re de’ Romani, et da Sua Beatitudine
riceveria questa ingiuria et questa sua depressione. Quando il Christianissimo
vederà veramente la elettione esser fatta, et non haver più
rimedio, credo indurlo a far della necessità, virtù, et,
come dico, forse si disporrà, non senza qualche difficoltà,
a fare quanto da voi fia ricercato.
A cosa che da noi se gli dica della elettion
fatta non crede, perchè da i principali Elettori dice che gli è
significato che il far intendere al Papa che la cosa è fatta, sia
arte et gabbamento di Cesare per indur tanto più facilmente la
Sua Beatitudine a far quel che esso et il Catholico domandano. Certo è
che in diverse persone sono qua lettere d’Alemagna, nelle quali
viene scritto il medesimo che dice il Re. Ma io presto più fede
a quanto mi scrive Monsignor nostro et la Excellentia Vostra. Pur prudenza
è che a Roma non s’innovi cosa alcuna, sin che il Christianissimo
sia ben chiaro etc. Vi so dire che sua Maestà ha ben gustato et
molto laudato il ricordo vostro, per rompere questa cosa del Catholico;
et secondo il parlar suo in questo effetto non lascierà che fare
et con danari et con promesse di beneficij, d’officij, di provisioni
et d’ogni altra cosa, che per lui si può, et messi et lettere
sono già in via, ma in zoccoli.
Al Re, a Madama et al Gran Maestro è
stato supremamente grato quelle che Vostra Excellentia scrive della legatione.
Del domandarla San Malò a beneplacito, et non ad annum, credo sia
fuor della mente et commissione del Re et del Gran Maestro, perchè
non ho mai sentito qua parlarne altramente, et avanti che passino molli
giorni, chiarirò benissimo la partita, et di ciò non vi
date fastidio.
Ho visto quanto Vostra Excellentia mi scrive
circa le lance del Sig. Gio. Iacomo, se per qual si voglia causa quella
piazza vacasse, stimi Vostra Excellentia che se ella fosse qui, non faria
in tal caso per modestia sua più di quelle che farei io, per il
desiderio che ho di servirla. Intendo che le dette lance sono del Signor
Camillo suo figliuolo et non del Signor Giovan Iacomo. Signor mio caro,
non ho voluto far parola che pur accenni la parte che Vostra Excellentia
mi scrive dell’esser lei sola appresso Nostro Signore per disporlo
alle conclusioni più importanti per il Christianissimo, et della
credenza che quella mostra havere, che Nostro Signore fosse per adherire
in ciò più ad altri che a lei. La causa che mi ha mosso
a non accennarlo, è prima, perchè per aventura il Re penseria
che Monsignor Nostro Reverendissimo non gli fosse quel buon amico che
è, il che credo non saria punto a proposito di sua Reverendissima
Signoria. Oltre di questo il Re, Madama et il Gran Maestro amano certo
estremamente et stimano la Excellentia Vostra per le ottime qualità
sue et per saper che quella è tutta dedita al Re et alle cose sue,
ma anche tengono conto di lei per persuadersi che come unico nipote di
Nostro Signore, sia l’anima sua, come la ragion ricerca, et come
meritano la bontà et molte virtù sue, el stimano che di
Sua Beatitudine quella possa disporre nelle cose importanti, quanto ella
vole et per consequens giudicano l’opera vostra potere essere nelle
cose loro, come sin qui è stata, molto utile appreso del Papa.
Però io non ho voluto usar parola che in parte alcuna diminuisca
in ciò la credenza loro, parendomi così essere il meglio,
et perchè Vostra Excellentia per sua molta gratia, rimette in me
il tacere et il parlar delle lettere sue quelle parti che a me paiono,
ho voluto significare a lei quel che ho detto et quel che ho tacciuto.
Non è stato forse men grato a me l’intender che Vostra Excell.
è rimasa sodisfatta dell’opera mia nella cosa de’ suoi
cento mila franchi, che a lei l’essere certa d’havere in sicuro
una somma tale. Come qui fieno i Generali, et in abbreviare il tempo di
due anni et in ogni altra cosa che in ciò s’haverà
da fare userò tal diligenza che credo Vostra Excellentia ne sarà
ben contenta et sodisfatta.
Siamo dietro a queste benedette Bolle della decima.
Costoro vorrebbono ch’elle si facesero a punto come l’altre
che il Re ottenne a Bologna. Cerco di guadagnar qualche cosa più:
se mi riuscirà, avanti il serrar della presente, lo scriverò.
Questo è in causa che non ho parlato della cosa di Bernardo de’
Medici, acciochè io non facessi veridico un amico qua che usa dire
che in tutte le cose nostre col Re vogliamo far da mercanti. A tempo et
luogo mi ricorderò di Bernardo et della caldissima commissione
di Vostra Excellentia in beneficie suo. In che io non solo supremamente
commendo, ma ancor molto ringratio quella per il desiderio che mostra
di beneficare i servitori suoi, che cosa più degna di se non può
fare. Io mi persuadeva poter muovere ancora il Christianissimo a dare
a Monsignor Arcivescovo Ursino di pensione sino alla somma di due mila
franchi, et però gli scrissi la cosa sua non essere ancora del
tutto stabilita, per haver tempo a far l’opera soprascritta in beneficio
suo, ma non mi è riuscito. Ne parlai al Re il quale mi rispose
come scrissi per l’altra.
Ma la cosa per li mille dugento franchi
è del tutto ferma et stabilila, che pur non hier l’altro
me lo confermò il Gran Maestro in presenza del Re.
Havendo Nostro Signore deliberato di eleggere
et mandar qua nuovo Nuntio, come Voslra Excellentia mi scrive, quella
ricordisi di operare che egli habbia quelle ottime qualità che
richiede un luogo di tanta importanza, che certo è di momento assai.
Ma sopra tutto sia persona che dipenda dalla Casa et da Vostra Excellentia,
che certo molto mi piaceria chi già a Roma sodisfaceva a Vostra
Excellentia per questo luogo, et qua insieme ne parlammo ella et io. Et
se non si potesse mandar lui, per aventura saria molto buono che ci tornasse
Baiusa che qui mi pare che sia in ottima gratia et in grandissima reputatione:
et l’Excellentia Vostra si persuada che chi tiene appresso d’un
Principe persona che da lui sia amata et stimata, ottiene da esso Principe
quel che vuole, et lo essempio è in pronto del Signor Alberto et
di Don Girolamo Vich, et se Baiusa non sodisfà al Papa per Roma,
forse sodisfaria per qua. Ma o Baiusa o altri che venga, fate che sia
nostro. L’amor ch’io vi porto svisceratissimo, il conoscer
questo luogo essere importante, et l’amor grande che il Re vi porta,
et la fede estrema che ha in voi, mi muove a ricordarvi che voi pensiate
bene a questa cosa, acciochè ci sia per voi persona che mantenga
questa barca dritta.
Con desiderio aspetto di saper come sta
la Signoria di Madonna vostra madre, pregando Dio che le restituisca presto
quella sanità che ella el voi desiderate. Al Re et a Madama dispiace
grandemente il mal di sua Signoria et lodano molto vostra Excellentia
del l’amorevolezza et riverenza che ha usato verso di lei.
Non dirò altro per questo all’Excellentia
vostra, percioché per l’alligata mia al Reverendissimo Monsignor
nostro, quella potrà vedere molte altre cose che non sono nella
presente. Prego Vostra Signoria che mi raccomandi humilmente a’
Santissimi Piedi di Nostro Signore et a se stessa.
Di Parigi, a’ 27 di Novembre 1518.
Humiliss.
ser. di rosira Excellentia il Cardinal di Bibiena
Signor
mio, a me pare che quando il Papa si disponga a fare un tanto beneficie
et una tanta gratia al Catholico, Vostra Excellentia habbia una poca ricompensa
non havendo altro che Siena, conciosia che non havete bisogno del suo
aiuto in pigliarla et non ve la dà egli, et quanto all’haverla
da Cesare, vi ricordo che al tompo di Papa Giulio, Francesco Maria della
Rovere, senza mezzo del Zio, n’hebbe l’investitura per dieci
mila scudi etc.
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