Parigi, 5 decembre 1518


A Giulio de’ Medici

Reverendissimo etc. Io sarò breve per questa, perchè il Cavallaro che passa vien di Fiandra, et non può aspettare. Ma non per questo lascierò di dire in poche parole la sostanza di quel che harei detto in molte.
     Poichè io scripsi a’ 28, il Re mi disse in secreto, come il Re Catholico gli faceva intendere che Cesare voleva venire a Roma per la Corona. Il che non piaceva a Sua Altezza percioché bisognava per tal venuta provederlo di grossa somma di danari, et che per questo pregava Sua Christianissima Maestà che operasse con N. S. al mandargli la Corona nella Magna, il che questa Maestà non vuole fare per niente, perchè dice che sa che ella è arte del Catholico et che di nuovo ella ha lettere d’Alemagna che la elettione non è fatta ne si farà se prima Cesare non è incoronato. Et qui si distese assai in dirmi, ch’io per le mie volessi per sua parte persuadere a N. Sig. et alla Sig. Vostra Reverendissima che poi che in mano di Sua Santità era l’honor suo prima, et poi la conservatione dell’autorità et sicurtà non solo della Sede Apostolica, ma etiandio di Roma, di Fiorenza, et finalmente di tutta Italia, per l’amor di Dio quella non volesse mandar detta Corona, dalla quale depende tutto il resto. Et per non negar la Corona, che non saria giusto, dice sua Maestà che Nostro Signore dica esser contentissimo di dargliela nel modo che l’hanno avuta tutti i suoi predecessori, Alberto, Enrico, Carlo Quarto, Ridolfo, Vincislao, et ultimamente Federigo suo padre, i quali Sua Christianissima Maestà dice che vennero a Roma, furono incoronati per mano de’ Papi pro tempore esistenti. Così prega il Re Nostro Signore che Sua Santità non solo accetti la venuta di Cesare a Roma, ma ne lo conforti, mostrando piacergli et desiderarlo assai per li rispetti altre volte scritti. Et del resto dice che sua Santità non si dia un pensiero al mondo, perchè sa certo che disarmato non verrà, et che quando havesse il modo a venir armato, il che non crede, dice che Sua Santità non se ne dia fastidio, ma stia a vedere et lasci fare a lui, perchè in tal caso, havendo Cesare a passar per il Dominio o suo o de’ Signori Vinitiani, Sua Maestà, per sicurtà de gli stati communi, verra in Italia, et haverà tale et tanta gente tra esso Re, et loro, che si crede certissimo che Cesare non si metterà a passare, et che volentieri se ne tornerà nella Magna et non passerà mai, et così dice che Nostro Signore verra ad haver sodisfatto a Cesare et liberato Italia da una perpetua servitù. Con le più efficaci, con le più cordiali et con le più ardenti parole che imaginar si possano, mi parlò sopra questa cosa, acciochè io, per sua parte, lo scrivessi alla Santità di Nostro Signore et alla Signoria Vostra Reverendissima. confortando, pregando et strignendo quelle a star salde, et tener fermo questo punto di non mandare la Corona a Cesare, replicando più volte che la elettion del Catholico, et tutto il resto dependeva da questo, et che in mano di Nostro Signore era la salute et la ruina delle cose d’Italia, et che per questo confortava Sua Santità a quel che era l’honore et la gloria sua et il bene et la quiete di tutti, et che apriva in ciò l’animo suo a Sua Beatitudine et alla Signoria Vostra come a quelle le quali reputa esser se stesso, pregando che tutto sia sepolto. Scrive Sua Maestà alla Sig. Vostra Reverendissima credo che sieno di credenza, allo scriver mio sopra questa cosa la quale l’è fitta nel cuore et nell’anima, et a Madama più che mi ha usato queste parole, cioè che Nostro Signore pensi ben tutto et che stimi che se il Catholico sarà Re de’ Romani, la Corona di Francia verrà ad essere inferiore a quella di Spagna. Il che si riputerà ad estrema ingiuria, la quale rimarrà sempre nella memoria di costoro et che per l’amor di Dio havendo N. S. et le Sig. Vostre un Re di Francia tanto loro, tanto potente et tanto disposto ad esponer quanto può et quanto ha per Sua Beatitudine, voglia conservarlo in quella grandezza che è, et non fargli superiore chi hora gli è inferiore. Monsignor mio, questa cosa preme qua tanto che non si può loro replicare senza grande offesa de gli animi loro. Costoro hanno prohibito a’ mercatanti (in genere però) solo per questo conto che i danari di Spagna non vadano nella Magna, che danari non passino, nè ancora si cavino per il Dominio del Re, et nè in lettere nè in contanti, senza buona licenza di Sua Maestà.
     Il Duca di Ferrara vien qua, come ho scrilto. Il Re avanti hieri mi mandò a dir per il Gran Maestro che quando fosse qui mi notificheria quanto egli demandasse, et che Nostro Signore et le Signorie Vostre stiano con l’animo quieto che il suo venir qua non è per giovargli niente in parte alcuna, stringendomi ad assicurar di ciò Sua Beatitudine.
     Per il sale è scritto a Genova caldamente, conforme al ricordo di Alessandro del Caccia, et ho fatto ancora che Gio. loachino scrive in conformità, commessoli dal Re. Se sale abondantemente fia nel Ducato, tutto passerà bene: credo haveremo per noi il Sig. Visconte.
     Per conto de’ fuorusciti di Reggio et di Bologna, il Re ha scritto, come ho domandato, et credo con effetto seguirà quanto V. S. mi scrisse.
Di Federigo da Bozzolo, costoro da tre dì in qua hanno aviso che egli aduna gente per turbar le cose di Genova, et parmi lo vogliano chiamar qua, et se non è savio, forse havremo chi lo castigherà per noi. Così m’ha detto Robertetto. Esso Federigo non sta col Re, come l’altro di mi disse sua Maestà. La qual pensava d’ammonirlo sopra queste cose nostre et poi non se ne rimanendo, essere insieme con noi a castigarlo. Rispondete la volontà vostra.
     Dicemi il Christianissimo tra sè et Inghilterra essere indissolubile amicitia et unione et molto sicuramente parla di ciò. Et il medesimo mi dice Madama, il Cancelliero, Robertetto, et principalmente Monsig. di Parigi. al quale io presto grandissima fede.
     Di Spagna è sollecitato il Christianissimo a mandare il Gran Maestro a parlare con Ceures per ben fermare et per far più stretta intelligenza tra questi due Re, attento che Inghilterra per che si sia molto allargato allargato dal Catholico. Io ho visto la lettera che parla di ciò. Dell’oratore del Christianissimo in Ispagna sua Maestà non è ancor risoluta a mandarlo.
     Costoro non mi hanno poi fatto parola della lega tra N. Sig., il Christianissimo, Vinitiani et Svizzeri, nè io a loro per non ricordar cosa della quale dovemo esser sollecitati.
     Madama vuol pigliar sopra di sè ad acconciar tra Nostro Signore et il Re quelle petitioni che faceva costì Messer Leon Bello, et siate sicuro che per la conscienza et per la grande osservanza, amore et servitù che ella porta a N. Signore, ne vorrà più per sua Santità che per il figliuolo in simili cose. Il Decano d’Orliens ha scritto a Mons. Gran Maestro che Sua Santità conforta lui a pigliare in sè et acconciar la cosa: et Madama per esso Gran Maestro mi ha mandato a dire volerla lei, et che nostre sancte Père non se sussia pas de ce là.
     Gli oratori inglesi saranno qua fra quattro o sei dì. A’ quali si faranno honori eccessivi. Il Re è fuori a caccia da quattro dì in qua, nè si troverà qui alla loro entrata, come nè anche in Londra all’entrata de’ suoi si trovò il Serenissimo Re d’Inghilterra.
     Il Signor Giovan Iacomo si sta pur così del suo male, secondo che mi dice il Signor Camillo suo figliuolo che è qui. I medici temono che non uscirà di questo male.
Il dì di S. Andrea fece il Re celebrar Messa solenne, per honorar l’ordine del Catholico il quale haveva in dosso: volse che anch’io mi trovassi et così feci, sapendo ben prima d’haver nel luogo et nelle cerimonie quel che ad un Legato si conviene ; et così fu fatto.
     Penso andar a trovare il Re dove è et volere una volta intendere l’ultima volontà sua in queste cose turchesche et risolver bene, per poter poi tornarmene a’ Santissimi piedi di Nostro Signore et alla Sig. Vostra Reverendissima, poi che ho ferme le cose del Signor Dura nostro. Et in lor buona gratia mi raccomando.
     Di Parigi, a’ 5 di Decembre 1518.
     Di Vostra Illustriss. et Rev. Sig. humil. ser.

il Card, di Bibbiena.