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Parigi,
8 decembre 1518
A Giulio de’ Medici.
Reverendiss. etc. Quanto io mi trovo lieto et contento per l’ottima
et veramente christianissima risolutione fatta due dì sono da questo
Re sopra le cose turchesche, come per la mia de’ sei havrete visto,
parendo havere con sodisfattione di Nostro Signore con beneficie della
Republica Christiana et con honor mio adempite tutte le commissioni della
mia legatione et ridutte le cose del Signor Duca nostro fuor d’ogni
difficultà, tanto mi ha attristato et aflitto la lettera di Vostra
Signoria Reverendissima de’ 27 del passato ricevuta hiersera, per
il dispiacer grande nel qual vedo trovarsi Nostro Signore et la Sig. Vostra,
per le cause scritte in essa lettera piena di querele et di doglienze
gravissime et acerrime verso questa Maestà. Et certo la molestia
mia saria molto maggiore, se io trovessere in costoro con effetto tutto
quello che in se contiene la lettera vostra. Ma essaminando la maggior
parte delle querele essere senza colpa di qua, mitigai assai il dispiacer
mio, stimando che anche Nostro Signore et la Signoria Vostra, havuta da
me la risposta, potessino facilmente levare dall’animo loro il fastidio
preso. Ma ben rimasi in gran perplessità, se deveva o no communicar
la lettera. Percioché nel communicarla io poteva pensare che gli
animi di costoro potessero facilmente turbarsi et alterarsi di sorte che
poi senza difficoltà et lunghezza non si sariano potuti ridurre
a quel che con tanto tempo, con una tanta affinità, con la venuta,
con la prudenza et maniera del Sig. vostro Nipote si sono ridotti et si
trovano. Non communicandola, io poteva essere causa che la piaga infistolisse,
che costoro perseverassero ne gli errori, che Nostro Signore tanto più
se ne affligesse et che havesse causa di allargarsi da loro tanto che
più mezzo non ci fosse di ristringimento, et che di tutto quel
male che di ciò avenisse, io solo sarei stato causa. Mi risolsi
adunque di non communicar la lettera, ma di dire a parole quel che di
essa mi parve conveniente et così hoggi me n’andai al bosco
di Visena. Trovai che il Re, sconosciuto, se ne era venuto qua in Parigi.
Parlai con Madama la qual disse a me, prima ch’io a lei, parte di
quelle doglienze di Nostro Signore havute per lettere di San Malò,
ma veramente scritte con modestia. Io poi col miglior modo che seppi dissi
quel più che non era scritto a lei. Et a tutto mi rispose molto
bene. Percioché, quanto alle dimande delle cose di Milano già
era rivocato l’huomo di costà, sopita la cosa, et ridotta
in se per acconciarla, quando così volesse Nostro Signore, dolendosi
alquanto che Sua Santità et la Signoria Vostra non havessero prestato
fede alle parole sue, scrittevi per me, che di tali petitioni non vi deste
un fastidio al mondo, licentiaste l’huomo che fosse costà
et lasciaste di qua il pensiero a lei. Quanto a quelle che i Francesi
fanno a Milano circa queste cose ecclesiastiche et che la Chiesa vi è
quasi una derisione, mi disse il medesimo che l’altro di, cioè
di dispiacerle sino all’anima, esser cose che il Re non intende,
non haver mai inteso questo, se non da noi, conferitolo con Sua Maestà,
fattone scrivere caldamente a Lotrec, et che di nuovo lo faria far di
sorte che forse non ne sentireste più querele. Circa i fuorusciti
di Reggio et di Bologna mi risponde quelle che mi giura Robertetto, cioè
essersi scritto per due mani di lettere caldissimamente, come noi havemo
domandato. Di Federigo da Bozzolo, havete havuto il consenso del Re; se
volete offenderlo, in vostro arbitrio sta, dicendovi però in ciò
il parer suo il Re. Il Duca di Ferrara hebbe, molti mesi sono, come tutti
gli altri dell’ordine, lettere dal Re del venir qua, per celebrar
la festa di San Michele. Accettò la venuta. Fu dipoi rivocato a
tutti il venire, et egli pur è venuto, si che vedete se egli e
stato chiamato qua o no. Essendo presso a Lione, il Re li fece dall’huomo
suo qua scrivere che venisse presto, per trovarsi all’entrata di
questi Anglici, a’ quali vorria far quanto honori si può.
Che il Re l’habbia fatto venir qua per causa non buona; come dice
la lettera di Vostra Signoria Reverendissima, et scritto a Venetia che
lo piglino in protettione, come quella m’avisa, se l’una o
l’altra cosa è vera, tenetemi per sciocco et di nessuna esperienza
al mondo, et ch’esso sia per ottener qua cosa in pregiudicio nostro,
etc. levatelo di fantasia: se il Re o parlera o scriverà per lui,
mi dira anche nell’orecchio, che non se ne cura: se l’effetto
è, come volete, del resto non deve anche Nostro Signore nè
Vostra Signoria curarsi, ma attendere solo alla mente del Re. E’
vero che sua Maestà l’ha nominato nella sua lega con Inghilterra,
et giura Madama essersi fatto innavvertitamente, senza pensar più
oltre. Dicemi ben Madama che Lotrec è grande amico del Duca di
Ferrara, et che senza saputa del Re potria talhora farli favore, ma non
però mai in pregiudicio di Nostro Signore. Avanti ch’egli
venisse qua, faceva pregare (come scrissi da Angrant al Signor Duca) che
il Re scrivesse a Venetia et a Milano che quando in sua assenza gli fosse
fatta nello stato alcuna offesa, non gli mancassero d’aiuto. Potriano
queste lettere essere state scritte, ma non lo ritraggo, et l’Oratore
vinitiano tanto da bene et tanto servitor di Nostro Signore et delle Signorie
Vostre mi giura non ne haver di poi inteso cosa alcuna. De’ sali,
Madama mi disse che San Malò molto caldamente glie ne scriveva,
et parle che Nostro Signore habbia ragione. Tuttavolta dice che la Sua
Santità stia di buona voglia et che non si dubiti, pur che si osservi
la capitolatione, et che è ben vero che il Re contra la capitolatione
che ha co’ Genovesi, non può forzarli, et che di questo vostra
Signoria Reverendissima glie ne presti fede: così mi accerta Messer
Agostino Foglietta espertissimo di quelle cose. Ma che non si lascerà
che fare per servitio di Nostro Signore in questa cosa, della quale l’altr’hieri
parlai a lungo col Re, et brevemente ne scrissi per l’ultima. La
Sua Maestà mi rispose meglio assai di quelle che prima haveva fatto,
et però dissi sperarne bene. Del non havere a Milano havuto luogo
il Placet per Monsignor Reverendissimo Salviati, Madama dice che lo sapeva,
et che il Re non mancherà di far che habbia effetto. Che costoro
cerchino che Nostro Signore si scopra ad impedire la elet-tione del Catholico
et nieghi la Corona a Cesare, come Vostra Signoria Reverendissima scrive;
perchè offenda l’uno et l’altro di sorte che gli habbiano
sempre ad essere nemici, accioché sua Santità et cotesta
Santa Sede resti poi in tutto a discretion di Francesi, potria essere
che fosse così, ma io non mi induco facilmente a crederlo, massime
vedendo manifesta la causa che a questo lo induce, et non pensate che
anche il Re si stia per impedirlo, che vi so dire non dorme. Non dice
il Re che si nieghi la Corona a Cesare, che non è giusto, dice
bene che le si dia nel modo che si è data a gli altri, cioè,
che venga per essa a Roma et di ciò si mostri Sua Santità
desiderosissima. Se viene disarmato, che se li dia co’ maggiori
honori che si desse mai ad altro Imperatore; et se viene con arme, dice
quel che scripsi per l’ultima mia. Hammi dipoi detto un’altra
cosa, cioè che Cesare faccia quelle che è tenuto a fare
nel domandar la Corona, in mandargli Ambasciatori a Nostro Signore a Roma,
et il Catholico volendo essere assolto dal giuramento, mostri la elettione,
la quale esso Christianissimo di nuovo afferma non esser fatta, et dice
haverne lettere fresche, et Madama ne ha una del Conte Palatine, seconde
cugino suo.
Scritto sin qui, ho parlato col Re di tutte
le cose di che parlai con Madama, e trovo in S. M. quasi le medesime risposte
che in Sua Excellentia, et della cosa del Duca di Ferrara presti fede
N. S. et Vostra Sig. a quanto scrivo di sopra, et statene con l’animo
quieto, perchè trovo (se dir di può) meglio nel Re che in
Madama. Della cosa del sale, havemo ad essere il Gran Cancelliere, Giovan
Ioachino et io insieme, oltre a quel che si è scritto, si pensera
di fare il meglio che si potrà, et il Signor Visconte credo tireremo
dal canto nostro.
Di nuovo m’ha S. M. parlato della
cosa del Catholico; di che non m’accade dirle altro; solo diro ch’ella
è in tutto volta al Duca di Sassonia, quando riuscir potesse di
farlo Re de’ Romani, spiccatosi in tutto et per tutto con l’animo
et con le prattiche da quella chimera, nella quale alcuni di Alemagna
havevano messo un anno fa Sua Christianiss. Maestà.
A quel che mi scrive Bartolomeo, Nostro
Signore pensa che quando il Re mi parla di questa cosa, io mi tenga la
lingua alla cintura, et forse pensa ch’io non replico a S. M. che
per non haver voluto creder la elettione, non ha cercato d’impedirla,
et che è hora condotta in luogo che non ha più rimedio,
che vuol lasciar questo peso su le spalle di N. S. tirarli una guerra
alle porte di Roma, alterar la pace et union tra Principi, dare occasione
al Turco di voltar l’arme a’ danni de’ Christiani, facilitargli
i disegni suoi, etc. Creda N. S. et Vostra Sig. Reverendissima che non
manco di rispondere, et in queste altre cose particolari tra N. S. et
il Re, spesso dico a costoro che non conoscono et non intendono ancora
interamente il modo nè la forma per stabilire bene l’animo
di N. S. et per indurlo a desiderare ogni grandezza loro, usando essi
ogni giorno termini et demande contrarie alla natura di S. Sant. mostrando
stimarla poco, et quel poco per cavarne commodità. Dico spesso
queste et altre simili cose, ma mi par superflue scriverle, che saria
solo un voler mostrare il saccente. Attende a servire con tutta la fede,
amore et diligenza mia, et se di qua mi è detto sempre bene, et
così pare a me che sia, et così anche da altri ritraggo;
certo le lettere mie non debbono essere se non buone, che altro ufficio
non seppi mai fare, che di huomo da bene et sincero. Parmi Monsignor mio
Reverendiss. che questo Re habbia buona mente, buono spirito, et che sia
tutto di N. S. et delle Sig. Vostre. Potriano però costoro esere
sì cupi, et io sì tristo notatore, che non sapessi toccarne
il fondo, ma nol credo, Dico quel che conosco et giudico, che N. S. debba
starne senza fastidio et senza dispiacere; perché, come dico, la
mente è buona, et l’amor verso di voi è grande: se
così credete; non v’allargate, anzi restringetevi più,
se più si può. che più volte di ciò il Re
et Madama et io havemo parlato insieme, et mi persuado, anzi son certo,
lo faranno più che volentieri.
Son certo, se o N. Sig. un’altra volta si abboccasse con questo
Re, o V. S. stesse solo dieci dì con S. M. et con Madama, giudicheriano
ch’io havessi nelle lettere mie usato parcialità grandissima
in scrivere di loro. Ben sapete, che ogni dì havrete da lor mille
domande strane, perchè in questo essi son gente senza ragione,
ma ridetevene, et non ne fate nulla, et qua non ne sarà altro:
et considerate l’animo, et l’opere del Re nelle cose di stato,
et grandi, et se vi corrisponde, stringetevi seco, perché, quanto
a quel ch’io comprendo, vi dico veramente il creder mio essere che
di qua troverete corrispondenza d’amore et di fede. Potrei gabbarmi:
ma nol credo per molti rispetti et ragioni, che lungo saria scrivere.
Raccomandomi in buona gratia di V. Illustriss. et Reverendiss. Sig.
Di Parigi, a gli 8 di Decembre 1518.
Di V. Sig. Reverendissima humiliss. servit.
il
Card. di Bibiena
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