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Parigi,
21 decembre 1518
A Giulio de’ Medici
Reverendiss.
etc. Io mi persuade che la Santità di Nostro Signore et la Signoria
Vostra Reverendissima pensino et credano che io non ho manco desiderio
di far la risposta alla lettera sua de’ tre di quelle che esse habbiano
di haverla, per mostrare ogni hora più la fede et diligenza mia
in essequire le commissioni datemi et per chiarirla, se possibil fosse,
con altro che con le mie lettere buone, del buon volere et del buono animo
del Re et di Madama verso di sua Santità, della Sede Apostolica
et delle Signorie Vostre tutte. Ma (come per l’ultime mie de’
14 et 16 scrissi) per essere il Re et tutta la corte occupata con questi
Oratori Anglici non ho potuto essequir nulla, prima che due dì
sono, che fui a lungo con Madama, con la quale usai prima termini di parole
che mi parvero convenienti del buon animo di Nostro Signore verso il Re,
et del desiderio di sua Beatitudine d’esser una cosa medesima con
Sua Maestà, et di voler vivere sempre unitamente con quella, purchè
trovi corrispondenza, etc., et appresso communicai la lettera. Tutto udì
con attentione et piacer suo grande: et havendo ella dipoi communicato
col Re, mi ha sua Maestà fatto intendere, non havere, poi che è
Re, havuto mai maggior desiderio che di essere et star sempre in vera,
stretta et perfetta amicitia, unione et intelligenza con Nostro Signore
et col sangue suo come quello che è primogenito della Chiesa, obediente
figliuolo di sua Santità, et che grandemente ama la casa de’
Medici et desidera havere occasione di mostrarlo con effetti, et che per
questo non mancherà mai da sua Maestà di venire ad ogni
restringimento, che far si possa più stretto et più forte
di quel che è al presente. Et che partiti questi Inglesi si daria
principio et fine a quello di che io haveva parlato sopra tal restringimento
al quale sua Maestà veniva per la cause soprascritte, per vera
et natural sua buona volontà, et non, come forse gli altri fanno,
per alcun bisogno, stando sua Maestà bene con tutti i Priricipi
Christiani, imponendomi che io intanto scrivessi questo a Nostro Signore
et confortassi sua Beatitudine per sua parte a far buona cera et a sperare
et aspettar da sua Maestà ogni bene, ogni honore, ogni commodo,
et in fine tutto quello, che da buon figliuolo et da Principe Christiano
può et deve sperarsi et aspettarsi, usando sopra ciò molti
altri buoni et amorevoli termini. Li quali non scrivo altramente, perciochè
mi pare che sia più prudenza aspettar di conoscer la buona mente
di sua Maestà da gli effetti et dall’opere sue, che dalle
buone lettere mie. Come prima si potrà negotiare con sua Maestà,
m’ingegnerò strignere et ultimar tutto quello che Vostra
Signoria Reverendissima mi scrive. Mentre che stanno qua questi Oratori
d’Inghilterra, non bisogna pensar di far faccende, et per esser
su le feste, forse non si partiranno prima che lunedi prossimo, se bene
i più dicono che se n’andranno fra tre giorni.
Costoro hanno a dar sei ostaggi per la osservanza
della capitolatione sopra le cose di Tornai. Quattro ne manderanno, che
fieno anfans d’honor, figliuoli di nobili, et ricchi Signori Francesi,
et per honestar la cosa, li mettono al servitio della Sposa del Delfino,
et ogni anno li muteranno. Sei cento mila scudi è l’intero
pagamento che costoro debbono fare ad Inghilterra per conto di Tornai,
pagandone ogni anno venticinquemila. Ma ne sbattono trecento trenta-tré
mila, per conto della dote. Morendo il Delfino, prima che fosse Re, la
sua mogliera ha da haver quella entrata et quel mobile che si suol dare
alle Regine di Francia, quando rimangono vedove. Se Scotia rompesse aperta
guerra a gl’Inglesi, Francia ha da persuader gli Scozzesi, che si
lievino di tal guerra, et non se ne levando, gli abbandona et non gli
ha più in protettione. Et se Inghilterra movesse contra Scozzesi,
Francia può aiutare essi Scozzesi, come prima. Del Duca d’Albania
non sono convenuti altramente di quelle, che per altre ho scritto. Ad
Eboracense hora si dà tanto di pensione, quanto traheva della Chiesa
di Tornai. La qual pensione presto dicono che si estinguerà, dandoli
altrettanto d’entrata di beneficij di Francia, che così pare
che sia la promessa. La forza del danaro ha fatto assai in questo accordo.
Avanti hieri ci furono lettere di Spagna, per le quali costoro sono avisati
che le genti che il Catholico promette contra il Turco, sono anche offerte
a Cesare, volendo venir per la Corona a Roma, et che il Catholico fa questo
per tenerlo contente, et per haverlo ben disposto in questa cosa della
elettione. Sono anche avisati che le genti promesse non arriveranno alla
metà in fatto, et che non si metteranno in ordine così presto,
ne così facilmente. Della elettion prefata io non scrivo altramente,
perchè assai n’ho scritto per le precedenti. Il Re (per quanto
mi mandò a dire hieri per Mons. di Parigi et per Robertetto) dà
di nuovo, ch’ella non è fatta, et che solamente il Mangontino,
Brandiburb et Colonia hanno promesso di farla a Marzo. Me ne rimetto al
vero, et credo però più a gli avisi vostri, pensando che
Nostro Signore n’habbia il certo. Con costoro non si può
più replicare in questo, tanto hanno per certo il contrario.
Madama mi ha detto in massimo secreto che
Cesare torna su nuove sue chimere strane, cioè che egli vuole il
Regno di Napoli durante la vita sua, ove egli è stato persuaso
che non morirà mai, vuol dare al Catholico la maggior parte della
Magna, et al Christianissimo la maggior parte d’Italia, chiedendo
danari et gente al Christianissimo, per far la cosa della Magna, offerendo
a sua Maestà Christianissima quanto per lui si può, per
conto delle cose d’Italia. Lotrec ha mandato qua Mons. di Santa
Colomba a pregare il Re, che gli dia licenza di venire a giustificar con
sua Maestà i carichi datigli, et havralla. Et per quanto mi accenna
Madama, non tornerà poi così presto a Milano, avenga che
il Re mostri d’amarlo assai.
Come per un’altra scrissi, costoro sbattono il Cancelliero, et tirano
su Mons. di Parigi, che mi piace grandemente, perchè il Cancelliere
non è amico nostro, nè anche però d’altri,
et perchè Parigi è tanto huomo da bene, quanto sia possibile,
et gran servitor di Nostro Signore, dice per havere inteso che sua Santità
lo voleva per Oratore a Roma.
Il Re m’ha fatto dire havere inteso
che Cesare è in stretta prat-tica di tor per moglie la Duchessa
di Bari.
La Duchessa di Borbone ha di sei mesi partorito
un putto, il qual visse solamente un’hora, et ella stava molto male;
per il che il Duca avant’hieri andò via in furia a Molis.
Non hier mattina l’altra, che fu domenica,
per tutta questa città si fecero universali processioni, che fu
bella et grande cosa, et nel Duomo si celebra messa solenne, ringratiando
Dio della deliberatione presa per il Re d’andar contra gl’Infideli,
et pregando la sua divina clemenza per la vittoria de’ Christiani.
Et questo medesimo farà il Re per tutto il Regno et Dominio suo.
Non bisogna pensar di negotiar cosa alcuna, fin che ci stanno questi Oratori,
come ho detto di sopra, però non s’è fatto ancora
nè obligation del Re per conto de’ danari delle decime, nè
la promessa in scriptis di quel che sua Maestà rispose a me, quindici
dì sono, nè la risolutione di chi voglia mandar per Ambasciatore
in Ungheria, nè le cose particolari del Reverendissimo Salviati,
di Messer Alessandro da Rodi, dell’Abbate di Vostra Signoria Reverendissima
et simili. Non lascerò, quando sarà tempo, di condurle a
fine, se possibil fia. Ben ne spero, et più volte il Re me l’ha
promesse.
Della cosa del sale non si è dipoi
fatto altro, aspettasi di veder il frutto che havrà l’atto
a Genova lo scriver del Re, come per l’altra scrissi. Genovesi hanno
mandato qua le copie de’ Brevi di Nostro Signore, et le risposte
faite di li. Sono stato con il Cancelliero et con Giovan Ioachino, et
finalmente, se i nostri hanno comprato il sale con licenza et volontà
dell’officio di san Giorgio, secondo che mi ha scritto da Milano
il Caccia, io credo che il Re sarà obedito da’ Genovesi,
altramente mi dubito che di quella somma de’ sali, i Genovesi non
vi lasceranno haver l’intento vostro et se si potesse supplir per
altra via, vi conforterei a non guardare a danari, perciochè voi
potete credere che il Re non vi mancheria della capitolazione.
Scrivo a Vostra Signoria a richiesta di Madama sopra la cosa di Mons.
di Tolosa: scusomi con Nostro Signore et con Vostra Signoria che non posso,
nè devo negare un simile officio.
Io ho fatte mille battaglie per aspettar
la cosa di Lorenzino nostro, secondo il desiderio suo, etiam col prevaricar
con mille scudi più la commission sua. Ma fin qui non ho fatto
nulla. Non resterò per questo di rientrare in campo a luogo et
tempo, et forse ne potrei riportar vittoria.
A Nostro Signore bacio i santissimi piedi,
et a Vostra Signoria Reverendissima et all’Excellentia del Signor
Duca, le mani sempre con tutto il core.
Di Parigi, a’ 21 di decembre 1518.
Di V. Illustriss. et Reverendiss. Sig. humil. Servitore
il Cardinale di Bibiena.
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